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Cantina Molisana

I sapori del MoliseCaciocavallo impiccato
caciocavallo impiccato

Caciocavallo impiccato

Hai mai sentito parlare di Caciocavallo Impiccato? Beh se la tua risposta è no, non sai fino a questo momento cosa ti sei perso, ma ti assicuro che hai ancora tutti il tempo che vuoi per recuperare e per entrare nell’Eden di questo formaggio che si scioglie sulla piastra e poi cade dolcemente sul pane ancora caldo.

A me sta venendo l’acquolina in bocca anche solo a pensarci. Cosa non si inventano gli italiani per mangiare bene vero? Sicuramente quando si parla di caciocavallo impiccato ci si riferisce a una vera e propria eccellenza italiana, da unire a un buon bicchiere di vino e da gustare anche come aperitivo.

Non c’è chef che non si sia sbilanciato su questo prodotto tipico dell’Irpinia che ha origini molto più antiche di quelle che si possano pensare. Una vera e propria icona della cucina italiana, La storia di una leccornia senza tempo che piace un po’ a tutti che appassiona e unisce. Ma non perdiamoci in chiacchiere, è il momento di entrare in questo mondo incantato del caciocavallo, siamo sicuri che ci darai ragione.


Caciocavallo impiccato cos’è e qual è la sua storia

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Cos’è il caciocavallo? Dai non farmi fare queste domande assurde, lo so che lo sai. Come dici? Vuoi sentirlo da me? Va bene, allora il caciocavallo è un formaggio a forma di pera che si contraddistingue per la sua pasta filante. Un formaggio stagionato la cui origine affonda le radici nel territorio che un tempo era denominato Regno delle Due Sicilia.

Non si hanno notizie certe, ma si suppone che il nome derivi dall’abitudine di marchiare le forme di questo formaggio con il marchio di un cavallo, come avveniva nel regno di Napoli, anche se le sue origini sembrano essere ancora più lontane del tempo, si parla della Magna Grecia. Proprio nel momento di questo regno, risale una tipologia di Caciocavallo, quello Silano Dop che si può datare al 500 a.C.

Il latte utilizzato per la produzione di questo formaggio risulta essere oltremodo nutriente, perchè viene munto da mucche che vivono allo stato brado, un po’ come avveniva in passato. A donargli il particolare sapore intenso ci pensa poi la stagionatura che avviene nell’arco di alcuni mesi grazie a corpi tondeggianti che vengono uniti da una strozzatura e poi le forme vengono appesi “a cavallo” tra 2 travi. Da tale procedimento deriva, oltre al sapore anche l’inconfondibile forma.


Le varianti

Ma certo che si fa presto a parlare di caciocavallo, ma lo sai che ne esistono diverse varianti? Dai andiamo un po’ in giro per l’Italia a scoprirle. In Puglia questa tipologia di formaggio si chiama “cazzecavedde” ma è possibile trovare 2 tipologie di caciocavallo, entrambe con certificazione di qualità:

  • Silano: che è riuscito ad ottenere la denominazione DOP nel 1996, è possibile trovarlo nelle zone di Foggia, Bari, Taranto, Brindisi. Ma anche in Campania, Calabria, Molise, Basilicata;
  • Podolico del Gargano: un presidio Slow Food

 

In Puglia, dove questo formaggio si chiama “cazzecavadde”, esistono due tipologie di caciocavallo riconosciute e certificate. Quello Silano, che ha ottenuto la Dop nel 1996 ed è diffuso nelle province di Foggia, Bari, Taranto e Brindisi, oltre che in Campania, Calabria, Molise e Basilicata. Poi c’è il Caciocavallo podolico del Gargano, presidio Slow Food. Per produrlo, si utilizza il latte di vacca di razza podolica, animali noti per produrre pochissima materia prima e solo in certi periodi dell’anno. Tuttavia questo latte dà origine a formaggi dai sentori eccezionali. Il Caciocavallo podolico del Gargano subisce un lungo affinamento in grotta naturale, tecnica che Slow Food sta cercando di preservare con un presidio ad hoc. In Italia, soprattutto al Sud, ci sono altre varianti, come il caciocavallo ragusano, quello di Ciminà, di Godrano e D’Agnone.


La differenza tra il caciocavallo “classico” e il caciocavallo impiccato

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Il caciocavallo è diffuso in tutto il Meridione e ha nomi, tecniche e tradizioni molto diversi pur ottenendo un prodotto simile di città in città. Il più noto è quello Silano che ha ottenuto la Dop ed è diffusissimo in Calabria e Puglia; buonissimo il Caciocavallo molisano (scopri di più).

Simile al Caciocavallo Silano Dop è la versione che si trova in Molise e Basilicata, mentre in Campania a dettare la linea è il Caciocavallo Podolico del Gargano. Un formaggio viene fatto con latte vaccino di una razza podolica che produce pochissimo latte e lo fa in brevi periodi dell’anno: ma questa materia prima dà vita a dei formaggi molto saporiti. Slow Food ha investito su questa particolare versione e ha messo a punto una tecnica di affinamento in grotta naturale per un lungo periodo, per preservare questo prodotto. Infine in Sicilia c’è il Caciocavallo Ragusano, dal gusto più neutro.

Per il caciocavallo impiccato si può usare qualsiasi caciocavallo italiano (clicca qui) ovviamente ma la versione migliore è quella prodotta in Irpinia; perché in questa particolare zona dell’avellinese le vacche si nutrono di trifoglio incarnato, erba medica e portulaca oleracea. Queste tre erbe sono più rare da trovare negli altri pascoli d’Italia e dona al prodotto dei sentori erbacei, rinvigoriti dall’affumicatura, che non si sentono negli altri caciocavalli. Secondo il dottor Mario Vista, il caciocavallo impiccato ha un elevato contenuto di betacarotene e tocoferoli, rispettivamente precursori di vitamina A ed E, oltre che tanti Omega -3, grazie ai valori nutrizionali dell’erba avellinese.

 

Molto importante che il caciocavallo da impiccare sia giovane perché più il formaggio è stagionato, più diventa salato e questo, con la cottura, può rendere il caciocavallo immangiabile.


La storia del caciocavallo impiccato

Impiccare il caciocavallo è un’usanza molto antica e contemporaneamente molto moderna. Una tradizione che abbracciava l’Irpinia, la parte settentrionale della Basilicata e la provincia di Foggia ma che ormai, visto il sapore del prodotto, ha conquistato tutto il territorio nazionale.

Probabilmente la tecnica dell’impiccagione la si deve ai pastori che portavano il bestiame al pascolo sulla via della transumanza e potrebbe essere stata scoperta per caso. I caciocavalli, infatti, venivano appesi ai rami per tenerli lontani dagli animali: ma il calore del fuoco acceso troppo vicino ai formaggi, una notte, avrebbe fatto sciogliere delle forme. Il formaggio sciolto è stato così assaggiato dai pastori che se ne sono innamorati. Per anni il segreto è stato custodito dai pastori finché qualcuno non ha cominciato a proporre il caciocavallo impiccato alle sagre in Campania e Basilicata.

Lo sviluppo della tecnica è quindi abbastanza recente. Negli anni ‘90 l’impiccagione del caciocavallo è ancora legata al mondo dei pastori.Bisogna aspettare il 2000 per la “divulgazione” del segreto che con il tempo, di sagra in sagra ha toccato tutte le città dell’Irpinia e della Basilicata, poi tutte le altre del Sud Italia. Un pubblico ampio che ha apprezzato e amato il caciocavallo impiccato, un prodotto dal sapore antichissimo ma che ha solo pochi anni di vita.


La tecnica dell’impiccagione

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La tecnica dell’impiccagione del caciocavallo è per lo più irpina, ma dati i confini mobili di questa zona dell’Italia meridionale, anche la parte settentrionale della Basilicata, la provincia di Foggia e le propaggini più settentrionali della Murgia fino ai confini della terra di Bari hanno mutuato questa tradizione. In molti credono che siano stati i pastori a impiccare le prime forme durante la transumanza. Si pensa anche che questa tecnica sia stata scoperta per caso da questi uomini. Durante le soste notturne il caciocavallo veniva appeso ai rami degli alberi per tenerlo lontano dagli animali. Il calore del fuoco del bivacco, arrivando alle croste, avrebbe dato l’idea ai pastori di far sciogliere il formaggio.

Ma secondo Simone Pizza quel formaggio era troppo prezioso per “sprecarlo” squagliandolo al fuoco. Cultore del caciocavallo impiccato, nonché socio dell’associazione Metamorfosi, insieme ad altre persone del gruppo ha contribuito a diffondere la tecnica dell’impiccagione in Campania. «Tutto è cominciato all’inizio di questo nuovo millennio. Durante i nostri bivacchi tagliavamo fette di caciocavallo, che mettevamo a grigliare. Puntualmente il formaggio si scioglieva e cadeva sul fuoco, perdendosi. Da lì siamo passati all’impiccagione. Nello stesso periodo abbiamo proposto questa tecnica alla Sagra della Castagna di Montella (Av)». Dopo un paio di anni da quella prima apparizione, le altre sagre confinanti hanno copiato la tecnica. Quindi niente pastori: il caciocavallo impiccato è figlio del nuovo millennio.


Come impiccare un caciocavallo

Non ha importanza il colore, la tipologia di latte utilizzato, il caglio, l’affinamento, ma la stagionatura sì. Il caciocavallo da impiccare deve essere giovane (e quindi meno salato). Una volta acquistato, fatevi dare il cordino con cui è appeso a stagionare: vi servirà per l’impiccagione. Collegatelo a una catenella da agganciare a un treppiede. «In questo modo il ferro non andrà a intaccare la salubrità del formaggio o a rompere la testina del caciocavallo», spiega Pizza. Il formaggio deve essere messo a circa 10 centimetri dal fuoco e non deve mai toccare la griglia, al contrario della fetta di pane, che può essere passata sul fuoco per qualche secondo, per bruscarla. Si può scegliere un casereccio, il cosiddetto pane ammassato, che faccia da letto per la crema di caciocavallo. Quando la crosta comincerà a sciogliersi, la si può togliere e assaggiare. La parte molle del caciocavallo sarà così libera di colare meglio. Per porzionare il formaggio è sufficiente usare una palettina o il retro della lama del coltello. Man mano che il caciocavallo si consuma, si deve abbassare il formaggio sempre più verso il fuoco.


Caciocavallo impiccato: come cucinare il formaggio sulla brace

Come detto si può usare qualsiasi tipo di caciocavallo ma è consigliabile un prodotto irpino, dalla stagionatura breve perché la cottura fa aumentare la sapidità del prodotto.

Il formaggio verrà messo a circa 10 centimetri dal fuoco, perchè non dovrà mai toccare la griglia, altrimenti si sporcherebbe. Quando la crosta comincia a sciogliersi, basta usare la parte liscia del coltello per farla colare su una fetta di pane posta sulla griglia e gustarsi lo street food per eccellenza delle sagre campane. Importante ricordarsi di abbassare il caciocavallo man mano che si consuma per mantenere i 10 cm di distanza dal fuoco.


Il condimento della fetta

La fetta di pane condita con il caciocavallo caldo dev’essere gustata calda. Quindi chi vi prepara questa speciale bruschetta deve essere molto rapido a concludere il condimento. Per Pizza, il caciocavallo impiccato dev’essere gustato puro, senza aggiunte. «Per l’aperitivo, se ne usa uno un po’ più fresco; dove si sentirà il sapore del latte, con non più di tre mesi di stagionatura. Chi invece preferisce un gusto più forte, può usare quelli stagionati fino a sei mesi; qui si sente molto il sale e il grasso del formaggio».

Per gli sperimentatori si suggerisce di gustare il caciocavallo impiccato giovane assieme a del tartufo, peperone crusco sbriciolato, lardo a fette, ma anche carne o salsicce stagionate. Alla fine, davanti a voi avete una fetta di pane con formaggio, anche se con un sapore unico.


Gli eventi

Con l’arrivo dell’estate, le braci si infiammano e il caciocavallo inizia a “piangere”. Il momento clou per tutti gli appassionati di questo street food è la Sagra del Caciocavallo Impiccato ad Apice, che si tiene a fine giugno. Da non perdere anche l’omonimo evento a San Marco ai Monti (fine luglio) e a Sant’Agata dei Goti (settembre), in provincia di Benevento. Naturalmente, per i puristi c’è l’appuntamento della Sagra della Castagna (novembre) a Montella, in provincia di Avellino, dove è nato tutto.

A Monteleone di Puglia, in provincia di Foggia, si tiene la Sagra del caciocavallo, cicatielli e acc’, appuntamento che anima l’estate della città da più di vent’anni. In questa occasione il caciocavallo lavorato a mano nelle aziende locali, si accompagna con i cicatiell e acc’, cioè cavatelli col sedano. La sagra si svolge nel mese di agosto nella piazza Municipio di Monteleone.


Vini da accompagnamento

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Per accompagnare il Caciocavallo Silano abbiamo bisogno di un vino con caratteristiche diverse, a seconda del periodo di stagionatura. Il formaggio fresco richiede un vino bianco delicato, ma non privo di un certo spessore, come il Soave Superiore, prodotto a Verona e caratterizzato da un retrogusto amarognolo, opposto alla dolcezza del formaggio giovane; o ad esempio un vino bianco di Falanghina: fresco, morbido e piacevole. Per il Caciocavallo stagionato, invece, possiamo scegliere un vino rosso di media intensità, come l’Aglianico del Vulture, con le sue particolari sfumature di arancio, o l’Aglianico del Molise – Sarò; rosso classico, prodotto a Termoli (CB).


Ci vediamo al prossimo articolo. Mi raccomando visita il sito www.cantinamolisana.it.

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